lunedì 17 agosto 2009

PENSIERO GRECO E PENSIERO CRISTIANO

Vi possono essere due diversi modi per affrontare il problema del divenire e del nulla: il pensiero della legge e il pensiero dell'eterno.

Il primo modo fu quello dei greci : il pensiero della realtà immutabile e delle sue leggi e dell' "ubris" (tracotanza) dell'uomo, che è punito se tenta di violarle; con questo pensiero i greci chinano il capo di fronte alla Necessità e alla Legge (Ananke e Logos), e inventano una razionalità disumana perchè odia l'assenza di limite (già con Pitagora, vero padre del pensiero ellenico). La morte è la fine della vita, di cui resta in eterno solo il principio (archè).

Il secondo modo è tipico del pensiero cristiano, che nasce fondamentalmente come sussulto dell'umanità "sventurata" (nel senso completo di Simone Weil, che pensa alla sventura come condizione insieme "sociale" e "creaturale"). Questo sussulto è anti-greco: non solo gli uomini persistono, quando prima svanivano, ma fin dalla Genesi sono invitati a mutare le loro sorti e considerati quindi liberi di agire nel mondo per modificarlo (U.Galimberti, Psiche e Techne). In questo sforzo tutto terreno, gli uomini rivendicano uguale dignità e non solo uguale facoltà razionale (vedi lo schiavo del "Menone" di Platone, che riesce a comprendere il teorema di Pitagora, ma che rimane schiavo: infatti, al greco che domina, interessa il principio e non la vita).

Vi è quindi una fondamentale doppiezza nel pensiero cristiano, non presente in quello greco: da una parte, la prospettiva eterna personale che riscatta oltre di noi (che è l'elemento "creaturale"), dall'altra, la rivendicazione di una dignità immanente e tutta carica di sovvertimento sociale, che riscatta qui ed ora.

Il vero cristiano sente, allo stesso modo, un doppio modo di essere oltre il mondo: da una parte, poichè invita al disvalore terreno e alla perfezione metafisica (la "vanità di vanità" dell'Ecclesiaste e della spiritualità orientale), dall'altro perchè sa che questo mondo è luogo del potere di dominio, cioè è in gran parte luogo dove si ruba "terreno" agli altri (Rousseau, Discorso sull'origine della disuguaglianza), cioè si ruba "vita terrena", dignità appunto.

Nelle Beatitudini a mio avviso c'è il netto richiamo a questa doppiezza, e i vangeli si completano: i "poveri" di Luca sono veramente coloro che vestono di stracci, mentre quelli di Matteo sono i santi, e sembra che per i primi sia evocata la salvezza terrena (infatti, se il paradiso è per i buoni, perchè bearne tutti i poveri ? Non esistono forse poveri "cattivi" ? Salvezza terrena allora, cioè riscatto sociale, anzitutto), per i secondi quella eterna, compimento della prima.

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