Dobbiamo considerare originariamente il Potere come attuazione del desiderio di dominio, che avviene o sulla base della sola forza bruta, oppure sulla base di una forza sorretta da un pretestuoso diritto di supremazia, oppure infine tramite la sottile opera di convincimento che viene praticata al fine di rendere gli altri schiavi consenzienti (I primi due casi si applicano sovente al potere politico, il terzo a quello religioso).
Il potere – una volta innescato il suo meccanismo - distingue e classifica gli uomini per diritti e dignità e, una volta attuato, si serve - allo scopo di conservarsi - di forme culturali di differenziazione e svalutazione nei confronti dei dominati.
Il Sé può costituirne una minaccia perchè nel suo essere una totalità integrata è contenuto anche il senso ambivalente dell’esistenza umana, della sua relatività, della coscienza del limite.
Per questo l’ordine che esso indica non è congruente con quello costituito, ove si assolutizza invece una differenza e una distinzione, e richiede un’evoluzione di valori che la società e le forme con cui essa si estrinseca - che normalmente non integrano i contenuti di senso - non sono pronte ad accettare.
Nelle società normalmente si gestisce il Potere, e il Potere per sua natura è dis-integrato.
"...perchè pensare è faticoso...e la gente cerca tutte le scorciatoie per non pensare...io credo che ci sia la guerra perchè non si pensa...pensare è già la pace!" Cesare Zavattini
mercoledì 11 novembre 2009
lunedì 9 novembre 2009
DOMANDE
Le domande vengono generate molto umanamente dal sospetto che sia in essere un certo comportamento o una certa realtà. Non si fa una domanda se non perchè esiste una possibilità da verificare, e la risposta a questa domanda dovrebbe servire a sciogliere il dubbio. E' lecito allora avere dubbi, esprimere preoccupazioni ? E' lecito essere umani ? C'è chi vuole impedirci di avere sospetti e dubbi. C'è chi vuole impedirci di pensare. Nutrendo in tal modo il sospetto che i nostri timori siano fondati, e rafforzandone naturalmente la potenza. Dall'altra parte si risponde parlando di "pretestuosità" delle domande e di conseguenza si rafforzano e si inaspriscono le difese da questa domande, in una reazione a catena infinita.
venerdì 6 novembre 2009
TELECINESI
Lo scienziato A.R., all'amico veggente che affermava che egli fosse stato un cinese in una vita precedente, rispose: "E' talmente alto il numero di quelle genti che è estremamente probabile che lo sia stato. Ci sono tantissimi cinesi che tornano ad essere cinesi, ma è difficile che un europeo non sia mai stato cinese. Per questo oggi molti di loro si recano da noi: non potrebbero aspettare ancora che la loro anima solo per sorte capitasse da questa parti".
giovedì 17 settembre 2009
DEI
Non siamo più abituati agli Dei. Non siamo più popolati dalla loro presenza, non esistono più - o hanno perso autorità - i mediatori culturali che anticamente ci consentivano di sentirne la vicinanza.
L'Illuminismo razonalista ha bocciato come pura invenzione la pregnanza dei simboli, la loro forza irrinunciabile, imponderabile ma necessaria. Li ha relegati nell'indifferenza, ma essi continuano a esistere e influenzare la nostra vita. Anzi, poichè li abbiamo ricacciati nell'inconscio, essi accumulano al nostro interno maggiore energia, col rischio persino di travolgerci, come dimostrano le catastrofi del '900, dalle dittature alle guerre mondiali.
Se l'Amore è il "numinoso" (cioè l'affascinante, con un richiamo alla natura "divina", del "nume") che ci appare come controparte inconscia - e completante - del Sè, allora il rischio è quello che parti dell'inconscio irrompano in noi con la loro "numinosità", col loro fascino irresistibile, e poichè con esse non abbiamo più consuetudine, che invadano lo spazio della psiche, dominandolo completamente.
Jung infatti diceva che nel tempo ci si innamora con meno passione, poichè l'individuo ha imparato ad avere confidenza con queste parti inconscie e ad integrarle più o meno parzialmente nel prorio Sè.
L'Illuminismo razonalista ha bocciato come pura invenzione la pregnanza dei simboli, la loro forza irrinunciabile, imponderabile ma necessaria. Li ha relegati nell'indifferenza, ma essi continuano a esistere e influenzare la nostra vita. Anzi, poichè li abbiamo ricacciati nell'inconscio, essi accumulano al nostro interno maggiore energia, col rischio persino di travolgerci, come dimostrano le catastrofi del '900, dalle dittature alle guerre mondiali.
Se l'Amore è il "numinoso" (cioè l'affascinante, con un richiamo alla natura "divina", del "nume") che ci appare come controparte inconscia - e completante - del Sè, allora il rischio è quello che parti dell'inconscio irrompano in noi con la loro "numinosità", col loro fascino irresistibile, e poichè con esse non abbiamo più consuetudine, che invadano lo spazio della psiche, dominandolo completamente.
Jung infatti diceva che nel tempo ci si innamora con meno passione, poichè l'individuo ha imparato ad avere confidenza con queste parti inconscie e ad integrarle più o meno parzialmente nel prorio Sè.
lunedì 14 settembre 2009
IL BARBIERE DI RUSSELL
Il filosofo e matematico B.Russell propose all'inizio del '900 questo rompicapo: "In un paese esiste un barbiere che rade tutti e solo coloro che non si radono da soli. Chi rade il barbiere ?"
Le soluzioni possono essere ovviamente solo due: 1. che il barbiere rada se stesso 2. che il barbiere non rada se stesso; ma in entrambi i casi abbiamo un'antinomia, cioè una contraddizione, che rende impossibili entrambe le soluzioni. Vediamo perchè.
1. Nel primo caso, possiamo formulare il seguente sillogismo:
-Il barbiere rade solo coloro che non si radono da soli
-il barbiere rade se stesso
dunque
-il barbiere non rade se stesso
(la contraddizione consiste nel fatto che, se il barbiere rade se stesso, allora non rade se stesso: dunque è impossibile che rada se stesso, perchè questo porterebbe a una soluzione contraddittoria).
2.Nel secondo caso, possiamo formulare il seguente sillogismo:
-Il barbiere rade solo coloro che non si radono da soli
-il barbiere non rade se stesso
dunque
-il barbiere rade se stesso
(la contraddizione consiste nel fatto che, se il barbiere non rade se stesso, allora rade se stesso: dunque è impossibile che non rada se stesso, perchè anche questo porterebbe a una soluzione contraddittoria).
Dunque, il barbiere non può radersi, ma, allo stesso tempo, non può non radersi.
Essendo questa a sua volta una contraddizione, essa rende impossibile la condizione iniziale, cioè che esista un barbiere che rada tutti coloro che non si radono, dal momento che questa condizione porterebbe ad un assurdo.
Quindi, non può essere vero che in un paese esista un barbiere che rade solo coloro che non si radono da soli, e Lord Russell si è burlato di noi.
(P.S. Nell'antichità vengono spesso usate antinomie per dimostrare che la realtà o non esiste, oppure è solamente illusione)
Le soluzioni possono essere ovviamente solo due: 1. che il barbiere rada se stesso 2. che il barbiere non rada se stesso; ma in entrambi i casi abbiamo un'antinomia, cioè una contraddizione, che rende impossibili entrambe le soluzioni. Vediamo perchè.
1. Nel primo caso, possiamo formulare il seguente sillogismo:
-Il barbiere rade solo coloro che non si radono da soli
-il barbiere rade se stesso
dunque
-il barbiere non rade se stesso
(la contraddizione consiste nel fatto che, se il barbiere rade se stesso, allora non rade se stesso: dunque è impossibile che rada se stesso, perchè questo porterebbe a una soluzione contraddittoria).
2.Nel secondo caso, possiamo formulare il seguente sillogismo:
-Il barbiere rade solo coloro che non si radono da soli
-il barbiere non rade se stesso
dunque
-il barbiere rade se stesso
(la contraddizione consiste nel fatto che, se il barbiere non rade se stesso, allora rade se stesso: dunque è impossibile che non rada se stesso, perchè anche questo porterebbe a una soluzione contraddittoria).
Dunque, il barbiere non può radersi, ma, allo stesso tempo, non può non radersi.
Essendo questa a sua volta una contraddizione, essa rende impossibile la condizione iniziale, cioè che esista un barbiere che rada tutti coloro che non si radono, dal momento che questa condizione porterebbe ad un assurdo.
Quindi, non può essere vero che in un paese esista un barbiere che rade solo coloro che non si radono da soli, e Lord Russell si è burlato di noi.
(P.S. Nell'antichità vengono spesso usate antinomie per dimostrare che la realtà o non esiste, oppure è solamente illusione)
sabato 5 settembre 2009
DONNE - Toni Wolff
"...l'Anima spesso si proietta in una donna concreta, e tale proiezione conferisce a quella donna la numinosità dell'inconscio, al punto che essa acquista davvero il fascino di una Dea... Toni Wolff era forse la più adatta a farsi portatrice della proiezione di tale figura. Non era bella nel senso classico del termine, ma poteva apparire ben più che bella , più simile a una Dea che a una donna mortale" (B.Hannah, Vita e opere di C.G.Jung, Rusconi, pp.164-165)
martedì 1 settembre 2009
FUORI DAL TAO
C.G. Jung amava raccontare un episodio, raccontatogli da un amico che vi aveva assistito, che ha come protagonista un "mago della pioggia" cinese.
Questi viene convocato - per le sue facoltà - in un villaggio che da lunghi mesi sta subendo una siccità interminabile, che nessuna invocazione è riuscita a debellare. Giunto con un carro sul posto, non appena ne discende e si rende conto del luogo in cui si trova, una espressione di disgusto lo prende; allora si fa condurre in una capanna vicina al villaggio dicendo di non volere essere assolutamente disturbato e che il cibo gli sia lasciato fuori. Trascorrono tre giorni, dopo i quali un tumultuoso temporale si addensa sul villaggio e comincia a piovere a dirotto e persino a nevicare. Nel tripudio generale, gli viene chiesto: "Ma allora è stato lei a far piovere ?" "Assolutamente no !" risponde. "Io ho solo fatto questo: quando sono arrivato qui, ho sentito immediatamente che la gente del posto viveva fuori del Tao e me ne sono fatto contagiare, allora mi sono dovuto allontanare per ritrovarlo, e rientrare in esso. Sono stato da solo tre giorni nella capanna, e l'ho ritrovato. In quel momento è iniziato a piovere".
Jung riferisce questa storiella per mettere in evidenza come possa esservi una sincronicità fra eventi individuali ed eventi più generali, e che il rientrare nel Tao - potremmo chiamarlo il ritrovare o il rientrare in se stessi - possa collegarsi alla vita del mondo che ci circonda e a quella del Cosmo intero. In generale, Jung invita ad utilizzare la categoria della "sincronicità" rispetto a quella - tipicamente occidentale - della "causalità".
Potrebbe allora essere un bell'esercizio quello di sviluppare la capacità di sentire - proprio nel senso di "percepire" -, in ogni luogo in cui si trova, se sia presente o meno il Tao, se la gente, gli ambienti che frequentiamo, siano nel Tao, oppure se si viva nella disarmonia, nell'incompletezza, e cercare - nel caso di percezione dell'armonia - di farsene assorbire, di scrutarne il senso, e nel caso contrario, di mutare noi stessi, se non per influire su ciò che ci circonda (il mago non causa la pioggia!) , per evocare la Totalità (per gran parte del pensiero orientale non c'è differenza fra Sè e Mondo, quindi il Sè, il pensiero, evocano il Mondo, lo rappresentano, ne sono immagine).
P.S. Negli ultimi tempi mi sono accorto (io non porto ancora occhiali) che il mio occhio destro ci vede meno da vicino, mentre il sinistro ci vede ancora perfettamente. Ma mentre scrivo queste righe, mi sono accorto che adesso è il sinistro a vederci meno, mentre è il destro che ci vede perfettamente !
Questi viene convocato - per le sue facoltà - in un villaggio che da lunghi mesi sta subendo una siccità interminabile, che nessuna invocazione è riuscita a debellare. Giunto con un carro sul posto, non appena ne discende e si rende conto del luogo in cui si trova, una espressione di disgusto lo prende; allora si fa condurre in una capanna vicina al villaggio dicendo di non volere essere assolutamente disturbato e che il cibo gli sia lasciato fuori. Trascorrono tre giorni, dopo i quali un tumultuoso temporale si addensa sul villaggio e comincia a piovere a dirotto e persino a nevicare. Nel tripudio generale, gli viene chiesto: "Ma allora è stato lei a far piovere ?" "Assolutamente no !" risponde. "Io ho solo fatto questo: quando sono arrivato qui, ho sentito immediatamente che la gente del posto viveva fuori del Tao e me ne sono fatto contagiare, allora mi sono dovuto allontanare per ritrovarlo, e rientrare in esso. Sono stato da solo tre giorni nella capanna, e l'ho ritrovato. In quel momento è iniziato a piovere".
Jung riferisce questa storiella per mettere in evidenza come possa esservi una sincronicità fra eventi individuali ed eventi più generali, e che il rientrare nel Tao - potremmo chiamarlo il ritrovare o il rientrare in se stessi - possa collegarsi alla vita del mondo che ci circonda e a quella del Cosmo intero. In generale, Jung invita ad utilizzare la categoria della "sincronicità" rispetto a quella - tipicamente occidentale - della "causalità".
Potrebbe allora essere un bell'esercizio quello di sviluppare la capacità di sentire - proprio nel senso di "percepire" -, in ogni luogo in cui si trova, se sia presente o meno il Tao, se la gente, gli ambienti che frequentiamo, siano nel Tao, oppure se si viva nella disarmonia, nell'incompletezza, e cercare - nel caso di percezione dell'armonia - di farsene assorbire, di scrutarne il senso, e nel caso contrario, di mutare noi stessi, se non per influire su ciò che ci circonda (il mago non causa la pioggia!) , per evocare la Totalità (per gran parte del pensiero orientale non c'è differenza fra Sè e Mondo, quindi il Sè, il pensiero, evocano il Mondo, lo rappresentano, ne sono immagine).
P.S. Negli ultimi tempi mi sono accorto (io non porto ancora occhiali) che il mio occhio destro ci vede meno da vicino, mentre il sinistro ci vede ancora perfettamente. Ma mentre scrivo queste righe, mi sono accorto che adesso è il sinistro a vederci meno, mentre è il destro che ci vede perfettamente !
mercoledì 26 agosto 2009
AUTONOMIA DELL'UOMO E DEMOCRAZIA
Suscitano in me perplessità posizioni come quella di P. Flores d'Arcais - espressa sul Manifesto di domenica 23/8 - che, affermando l'autonomia dell'uomo da Dio, sembrano per ciò dare per scontato il relativismo.
Si dice: se Dio non esiste - e dunque l'uomo è auto-nòmos e si dà da solo le sue leggi - allora per ciò stesso l'umanità si esprime in una pluralità ed eterogeneità di scopi e valori, e la Democrazia è l'esercizio quotidiano che si fa per conciliare o almeno dare eguale dignità alle infinite forme esistenziali: la "laicità" è proprio lo spazio in cui esse possono convivere. Premessa di questa convivenza è che si riconosca la propria come una verità "relativa" e non assoluta, e che dunque essa non possa avere la pretesa di imporsi sulle altre, come invece tende ad imporsi una verità ritenuta universale e assoluta.
Io ritengo tuttavia che l'autonomia dell'uomo da Dio non sia incompatibile con l'idea e il perseguimento di princìpi universali immanenti e che la Democrazia sia compatibile anche con l'idea di un principio universale - di qualsiasi natura esso sia, trascendente o immanente - che si possa costruire con pazienza e fatica nella tolleranza, generata quest'ultima non dall'umiltà data dalla cosapevolezza della molteplicità ontologica dei significati - che li equipara -, ma dalla consapevolezza delle difficoltà che l'uomo incontra ad avvicinarsi all'unico significato universale.
Si dice: se Dio non esiste - e dunque l'uomo è auto-nòmos e si dà da solo le sue leggi - allora per ciò stesso l'umanità si esprime in una pluralità ed eterogeneità di scopi e valori, e la Democrazia è l'esercizio quotidiano che si fa per conciliare o almeno dare eguale dignità alle infinite forme esistenziali: la "laicità" è proprio lo spazio in cui esse possono convivere. Premessa di questa convivenza è che si riconosca la propria come una verità "relativa" e non assoluta, e che dunque essa non possa avere la pretesa di imporsi sulle altre, come invece tende ad imporsi una verità ritenuta universale e assoluta.
Io ritengo tuttavia che l'autonomia dell'uomo da Dio non sia incompatibile con l'idea e il perseguimento di princìpi universali immanenti e che la Democrazia sia compatibile anche con l'idea di un principio universale - di qualsiasi natura esso sia, trascendente o immanente - che si possa costruire con pazienza e fatica nella tolleranza, generata quest'ultima non dall'umiltà data dalla cosapevolezza della molteplicità ontologica dei significati - che li equipara -, ma dalla consapevolezza delle difficoltà che l'uomo incontra ad avvicinarsi all'unico significato universale.
lunedì 24 agosto 2009
LA BELLEZZA
Dice Platone nel Simposio che l'amore è il desiderio di procreare nel bello con il corpo o con la mente: a un certo punto gli uomini, desiderosi di perpetuarsi (sia attraverso la generazione di corpi, sia attraverso la creazione di Leggi e di altre opere dello spirito) cercano di avvicinarsi alla bellezza, dalla quale vengono fecondati e resi creativi.
Ma cosa è allora, propriamente, la bellezza ? Mi viene fatto di pensare che ciò che ci rende veramente creativi, fecondi e, di fatto, vivi, possa essere solo il senso della potenza del Sè, che è anzitutto senso primario e fisico, e che quindi la bellezza sia anzitutto incarnata da tutto ciò che noi pensiamo possa potenziarci primariamente come persone concrete e viventi.
L'esperienza originaria della bellezza non può consistere dunque altro che nell'esperienza di un corpo materno, che ci dona la dignità di esistere, bellezza che seduce, che conduce a sè nello spazio vivente, radice fisica del pensiero, e che conserva la sua traccia in ogni bellezza, nella quale vediamo rispecchiata l'evidenza di una ragione nella quale collocarci, derivata dal senso fisico che il Sè possiede di esistere nel mondo.
Ma cosa è allora, propriamente, la bellezza ? Mi viene fatto di pensare che ciò che ci rende veramente creativi, fecondi e, di fatto, vivi, possa essere solo il senso della potenza del Sè, che è anzitutto senso primario e fisico, e che quindi la bellezza sia anzitutto incarnata da tutto ciò che noi pensiamo possa potenziarci primariamente come persone concrete e viventi.
L'esperienza originaria della bellezza non può consistere dunque altro che nell'esperienza di un corpo materno, che ci dona la dignità di esistere, bellezza che seduce, che conduce a sè nello spazio vivente, radice fisica del pensiero, e che conserva la sua traccia in ogni bellezza, nella quale vediamo rispecchiata l'evidenza di una ragione nella quale collocarci, derivata dal senso fisico che il Sè possiede di esistere nel mondo.
sabato 22 agosto 2009
SUL CONFLITTO ARABO-ISRAELIANO
A gennaio, quando Israele invase Gaza, scrissi queste note:
Quando, dopo l'armistizio dell'8 settembre '43, le truppe naziste calarono dal Brennero per stabilire il dominio sulla penisola, quale avrebbe dovuto essere la risposta "proporzionata" degli italiani a quest'invasione ? Come avrebbe dovuto attuarsi la difesa del loro suolo patrio e della libertà ?
Il dominio nazista non comportava che la loro vita fosse negata (se non per una cerchia ristretta di persone – gli ebrei-), ma che sarebbe stata fortemente limitata nelle sue possibilità, nella sua libertà appunto. Fu proporzionale allora una risposta armata che, reagendo all'oppressore, ne negava la vita, mentre l'obiettivo dell'oppressore era "solamente" quello di negare la libertà e non la vita ?
Gli italiani, invece di reagire militarmente, avrebbero dovuto forse accettare inizialmente questo dominio, sottostando ai limiti loro imposti, rinunciando ad essenziali diritti, confidando in una resistenza passiva o in altre forme di resistenza non-violenta, cercando di trattare, di convincere l’invasore del proprio errore ?
Piaccia o no, la reazione di Israele (Stato legittimamente istituito da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel 1948) contro Hamas, con tutto quello che ne consegue a Gaza, rientra nella identica logica della reazione di chi sente la propria libertà e dignità violate e condizionate da un quotidiano stillicidio di minacce e violenze, e che non vede (come non vedevano gli alleati e i democratici antifascisti di fronte alla follia del nazi-fascismo) alcuna possibilità di trattativa. Rientra nella stessa logica che animava i bombardieri alleati che facevano strage anche di bambini sganciando bombe sulle città tedesche.
Ma - attenzione - affermare che si comprendono le motivazioni di Israele non significa però affermare che si ritenga razionale la sua azione militare. Infatti, mentre l'esercito tedesco era battibile - e dunque, per quanto terribile possa essere esprimersi in questo modo, la guerra aveva un senso - in questo caso ben difficilmente si comprende come possa essere sconfitto Hamas, tanto grande è infatti la ramificazione e il radicamento dell'estremismo che esso rappresenta. Rischia, piuttosto, questa guerra, di approfondire il conflitto.
Quindi a mio avviso Israele ha fatto una scelta estremamente rischiosa, probabilmente un grave errore, anche se di fronte a drammatiche ma indubitabili ragioni.
Quando, dopo l'armistizio dell'8 settembre '43, le truppe naziste calarono dal Brennero per stabilire il dominio sulla penisola, quale avrebbe dovuto essere la risposta "proporzionata" degli italiani a quest'invasione ? Come avrebbe dovuto attuarsi la difesa del loro suolo patrio e della libertà ?
Il dominio nazista non comportava che la loro vita fosse negata (se non per una cerchia ristretta di persone – gli ebrei-), ma che sarebbe stata fortemente limitata nelle sue possibilità, nella sua libertà appunto. Fu proporzionale allora una risposta armata che, reagendo all'oppressore, ne negava la vita, mentre l'obiettivo dell'oppressore era "solamente" quello di negare la libertà e non la vita ?
Gli italiani, invece di reagire militarmente, avrebbero dovuto forse accettare inizialmente questo dominio, sottostando ai limiti loro imposti, rinunciando ad essenziali diritti, confidando in una resistenza passiva o in altre forme di resistenza non-violenta, cercando di trattare, di convincere l’invasore del proprio errore ?
Piaccia o no, la reazione di Israele (Stato legittimamente istituito da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel 1948) contro Hamas, con tutto quello che ne consegue a Gaza, rientra nella identica logica della reazione di chi sente la propria libertà e dignità violate e condizionate da un quotidiano stillicidio di minacce e violenze, e che non vede (come non vedevano gli alleati e i democratici antifascisti di fronte alla follia del nazi-fascismo) alcuna possibilità di trattativa. Rientra nella stessa logica che animava i bombardieri alleati che facevano strage anche di bambini sganciando bombe sulle città tedesche.
Ma - attenzione - affermare che si comprendono le motivazioni di Israele non significa però affermare che si ritenga razionale la sua azione militare. Infatti, mentre l'esercito tedesco era battibile - e dunque, per quanto terribile possa essere esprimersi in questo modo, la guerra aveva un senso - in questo caso ben difficilmente si comprende come possa essere sconfitto Hamas, tanto grande è infatti la ramificazione e il radicamento dell'estremismo che esso rappresenta. Rischia, piuttosto, questa guerra, di approfondire il conflitto.
Quindi a mio avviso Israele ha fatto una scelta estremamente rischiosa, probabilmente un grave errore, anche se di fronte a drammatiche ma indubitabili ragioni.
lunedì 17 agosto 2009
PENSIERO GRECO E PENSIERO CRISTIANO
Vi possono essere due diversi modi per affrontare il problema del divenire e del nulla: il pensiero della legge e il pensiero dell'eterno.
Il primo modo fu quello dei greci : il pensiero della realtà immutabile e delle sue leggi e dell' "ubris" (tracotanza) dell'uomo, che è punito se tenta di violarle; con questo pensiero i greci chinano il capo di fronte alla Necessità e alla Legge (Ananke e Logos), e inventano una razionalità disumana perchè odia l'assenza di limite (già con Pitagora, vero padre del pensiero ellenico). La morte è la fine della vita, di cui resta in eterno solo il principio (archè).
Il secondo modo è tipico del pensiero cristiano, che nasce fondamentalmente come sussulto dell'umanità "sventurata" (nel senso completo di Simone Weil, che pensa alla sventura come condizione insieme "sociale" e "creaturale"). Questo sussulto è anti-greco: non solo gli uomini persistono, quando prima svanivano, ma fin dalla Genesi sono invitati a mutare le loro sorti e considerati quindi liberi di agire nel mondo per modificarlo (U.Galimberti, Psiche e Techne). In questo sforzo tutto terreno, gli uomini rivendicano uguale dignità e non solo uguale facoltà razionale (vedi lo schiavo del "Menone" di Platone, che riesce a comprendere il teorema di Pitagora, ma che rimane schiavo: infatti, al greco che domina, interessa il principio e non la vita).
Vi è quindi una fondamentale doppiezza nel pensiero cristiano, non presente in quello greco: da una parte, la prospettiva eterna personale che riscatta oltre di noi (che è l'elemento "creaturale"), dall'altra, la rivendicazione di una dignità immanente e tutta carica di sovvertimento sociale, che riscatta qui ed ora.
Il vero cristiano sente, allo stesso modo, un doppio modo di essere oltre il mondo: da una parte, poichè invita al disvalore terreno e alla perfezione metafisica (la "vanità di vanità" dell'Ecclesiaste e della spiritualità orientale), dall'altro perchè sa che questo mondo è luogo del potere di dominio, cioè è in gran parte luogo dove si ruba "terreno" agli altri (Rousseau, Discorso sull'origine della disuguaglianza), cioè si ruba "vita terrena", dignità appunto.
Nelle Beatitudini a mio avviso c'è il netto richiamo a questa doppiezza, e i vangeli si completano: i "poveri" di Luca sono veramente coloro che vestono di stracci, mentre quelli di Matteo sono i santi, e sembra che per i primi sia evocata la salvezza terrena (infatti, se il paradiso è per i buoni, perchè bearne tutti i poveri ? Non esistono forse poveri "cattivi" ? Salvezza terrena allora, cioè riscatto sociale, anzitutto), per i secondi quella eterna, compimento della prima.
Il primo modo fu quello dei greci : il pensiero della realtà immutabile e delle sue leggi e dell' "ubris" (tracotanza) dell'uomo, che è punito se tenta di violarle; con questo pensiero i greci chinano il capo di fronte alla Necessità e alla Legge (Ananke e Logos), e inventano una razionalità disumana perchè odia l'assenza di limite (già con Pitagora, vero padre del pensiero ellenico). La morte è la fine della vita, di cui resta in eterno solo il principio (archè).
Il secondo modo è tipico del pensiero cristiano, che nasce fondamentalmente come sussulto dell'umanità "sventurata" (nel senso completo di Simone Weil, che pensa alla sventura come condizione insieme "sociale" e "creaturale"). Questo sussulto è anti-greco: non solo gli uomini persistono, quando prima svanivano, ma fin dalla Genesi sono invitati a mutare le loro sorti e considerati quindi liberi di agire nel mondo per modificarlo (U.Galimberti, Psiche e Techne). In questo sforzo tutto terreno, gli uomini rivendicano uguale dignità e non solo uguale facoltà razionale (vedi lo schiavo del "Menone" di Platone, che riesce a comprendere il teorema di Pitagora, ma che rimane schiavo: infatti, al greco che domina, interessa il principio e non la vita).
Vi è quindi una fondamentale doppiezza nel pensiero cristiano, non presente in quello greco: da una parte, la prospettiva eterna personale che riscatta oltre di noi (che è l'elemento "creaturale"), dall'altra, la rivendicazione di una dignità immanente e tutta carica di sovvertimento sociale, che riscatta qui ed ora.
Il vero cristiano sente, allo stesso modo, un doppio modo di essere oltre il mondo: da una parte, poichè invita al disvalore terreno e alla perfezione metafisica (la "vanità di vanità" dell'Ecclesiaste e della spiritualità orientale), dall'altro perchè sa che questo mondo è luogo del potere di dominio, cioè è in gran parte luogo dove si ruba "terreno" agli altri (Rousseau, Discorso sull'origine della disuguaglianza), cioè si ruba "vita terrena", dignità appunto.
Nelle Beatitudini a mio avviso c'è il netto richiamo a questa doppiezza, e i vangeli si completano: i "poveri" di Luca sono veramente coloro che vestono di stracci, mentre quelli di Matteo sono i santi, e sembra che per i primi sia evocata la salvezza terrena (infatti, se il paradiso è per i buoni, perchè bearne tutti i poveri ? Non esistono forse poveri "cattivi" ? Salvezza terrena allora, cioè riscatto sociale, anzitutto), per i secondi quella eterna, compimento della prima.
martedì 28 luglio 2009
ALLA MOSTRA DEL CANOVA
Ciò che dobbiamo realmente chiederci a proposito dell'arte non è che cosa essa sia o significhi, che cosa esprima o come si esprima, bensì, in realtà, - e l'ho capito in occasione della visita alla mostra del Canova a Forlì - a che cosa serva, se sia utile.
E questa visita lo è stata: il possesso della tessera COOP infatti mi ha consentito insperabilmente di usufruire di uno sconto di 3 € all'ingresso, coi quali potrò pagarmi l'accorciatura di un paio di pantaloni o 3 litri di gasolio.
E' spregio di valori estetici il mio, è dileggio ? No, non mi si può accusare di questo. Mi sento in colpa, ma per altre parole.
Chi ha sorbito il Bello, o assaporato la Verità, chi ha goduto di questo infinito privilegio ? Ebbene, chi lo ha fatto, quei pochi, rari fortunati che elevano se stessi oltre il bruto, ascoltino le mie parole: essi, poichè hanno conosciuto questo bene, ora lo potranno offendere liberamente, affrancati come sono ormai dal bisogno.
Come li invidio: è per questo che faccio teatro dei miei affetti. Non vi è nulla in essi che abbia la pretesa di essere specchio di qualcosa, immagine vera.
La bellezza è sempre convulsa, anche quella classica: senza di essa non c'è alcun palpito nè coscienza. Venere, Psiche, Ebe, Flora, non sono che immagini dell'Anima, della giovinezza insita nel suo stupore.
E questa visita lo è stata: il possesso della tessera COOP infatti mi ha consentito insperabilmente di usufruire di uno sconto di 3 € all'ingresso, coi quali potrò pagarmi l'accorciatura di un paio di pantaloni o 3 litri di gasolio.
E' spregio di valori estetici il mio, è dileggio ? No, non mi si può accusare di questo. Mi sento in colpa, ma per altre parole.
Chi ha sorbito il Bello, o assaporato la Verità, chi ha goduto di questo infinito privilegio ? Ebbene, chi lo ha fatto, quei pochi, rari fortunati che elevano se stessi oltre il bruto, ascoltino le mie parole: essi, poichè hanno conosciuto questo bene, ora lo potranno offendere liberamente, affrancati come sono ormai dal bisogno.
Come li invidio: è per questo che faccio teatro dei miei affetti. Non vi è nulla in essi che abbia la pretesa di essere specchio di qualcosa, immagine vera.
La bellezza è sempre convulsa, anche quella classica: senza di essa non c'è alcun palpito nè coscienza. Venere, Psiche, Ebe, Flora, non sono che immagini dell'Anima, della giovinezza insita nel suo stupore.
domenica 12 luglio 2009
I TRIBUNALI ECCLESIASTICI (da "I fratelli Karamazov")
Nelle pagine iniziali del romanzo si discute a proposito delle tesi del libro "Fondamenti della giustizia ecclesiastica" e della risposta polemica data ad esse da Ivan K. in un articolo che lo ha reso popolare.
Le tesi fondamentali del libro sono: 1) l'amministrazione della giustizia civile e penale non deve appartenere alla Chiesa 2) il regno della Chiesa non è di questo mondo. La Chiesa non può pretendere, per la sua natura, di sostituirsi al mondo, dunque ne può essere solo un elemento; non vi è quindi una mescolanza fra Chiesa e mondo; la Chiesa rinuncia alle sue pretese di istituire un Regno.
La tesi di Ivan K. (condivisa dai due ieromonaci) è invece che la Chiesa miri a costituirsi come Regno, a includere in sé tutto lo Stato, sia pure come obiettivo ideale. In uno Stato ecclesiastico, poi, la Chiesa avrebbe da fare ben altro che tagliare teste e infliggere altre pene. Il male infatti sarebbe espulso; chi infatti compisse atti criminosi, si porrebbe non tanto contro gli uomini, ma contro Cristo: chi potrebbe mai ardire a tanto ?
Ma se anche ora esistessero dei tribunali ecclesiastici, la concezione del delitto e della pena sarebbe molto diversa da quella di uno Stato laico; si mirerebbe non all'amputazione del membro infetto, ma alla rigenerazione dell'individuo, alla sua resurrezione, alla sua salvezza.
Interviene ora lo starec Zosima: anche adesso la presenza della Chiesa è un freno al malaffare, anzi l'unico freno, poiché i principi a cui essa si ispira risiedono nell'interiorità dell'individuo, nella voce della sua coscienza. Egli propone dunque un'identificazione fra precetti religiosi e coscienza morale.
Il giudizio della Chiesa sul bene e sul male è l'unico che racchiude in sé la verità; lo Stato infatti definisce un delitto in base a norme che mirano solamente a tutelare privilegi e soprusi dei più forti sui più deboli e non gli interessa l'idea del bene (che è poi l'idea di ciò che l'uomo è veramente, la sua intima essenza cristiana), che invece interessa alla Chiesa. La legge dello Stato è estrinseca all'individuo, cerca di imporgli qualcosa di ostile, mentre la legge religiosa è intrinseca all'uomo; dunque l'uomo che ha sbagliato può riconoscerla come sua e può ravvedersi. La Chiesa ama tutti gli uomini, anche i malfattori, perché li ritiene tutti partecipi ,anche se spesso ignari, del Regno di Dio e delle sue leggi; lo Stato odia i malfattori, perché essi non possono condividere le sue leggi molto spesso ingiuste.
Le tesi fondamentali del libro sono: 1) l'amministrazione della giustizia civile e penale non deve appartenere alla Chiesa 2) il regno della Chiesa non è di questo mondo. La Chiesa non può pretendere, per la sua natura, di sostituirsi al mondo, dunque ne può essere solo un elemento; non vi è quindi una mescolanza fra Chiesa e mondo; la Chiesa rinuncia alle sue pretese di istituire un Regno.
La tesi di Ivan K. (condivisa dai due ieromonaci) è invece che la Chiesa miri a costituirsi come Regno, a includere in sé tutto lo Stato, sia pure come obiettivo ideale. In uno Stato ecclesiastico, poi, la Chiesa avrebbe da fare ben altro che tagliare teste e infliggere altre pene. Il male infatti sarebbe espulso; chi infatti compisse atti criminosi, si porrebbe non tanto contro gli uomini, ma contro Cristo: chi potrebbe mai ardire a tanto ?
Ma se anche ora esistessero dei tribunali ecclesiastici, la concezione del delitto e della pena sarebbe molto diversa da quella di uno Stato laico; si mirerebbe non all'amputazione del membro infetto, ma alla rigenerazione dell'individuo, alla sua resurrezione, alla sua salvezza.
Interviene ora lo starec Zosima: anche adesso la presenza della Chiesa è un freno al malaffare, anzi l'unico freno, poiché i principi a cui essa si ispira risiedono nell'interiorità dell'individuo, nella voce della sua coscienza. Egli propone dunque un'identificazione fra precetti religiosi e coscienza morale.
Il giudizio della Chiesa sul bene e sul male è l'unico che racchiude in sé la verità; lo Stato infatti definisce un delitto in base a norme che mirano solamente a tutelare privilegi e soprusi dei più forti sui più deboli e non gli interessa l'idea del bene (che è poi l'idea di ciò che l'uomo è veramente, la sua intima essenza cristiana), che invece interessa alla Chiesa. La legge dello Stato è estrinseca all'individuo, cerca di imporgli qualcosa di ostile, mentre la legge religiosa è intrinseca all'uomo; dunque l'uomo che ha sbagliato può riconoscerla come sua e può ravvedersi. La Chiesa ama tutti gli uomini, anche i malfattori, perché li ritiene tutti partecipi ,anche se spesso ignari, del Regno di Dio e delle sue leggi; lo Stato odia i malfattori, perché essi non possono condividere le sue leggi molto spesso ingiuste.
giovedì 9 luglio 2009
AUSCHWITZ
Il male suscita il nostro sconcerto e ci sgomenta perché è un paradosso: è qualcosa che è -nella vita- contro la vita, si oppone alla nostra volontà di vivere.
Di fronte a certi drammi la nostra coscienza può, se non accettare, almeno sopportare questo male, se lo considera frutto di una necessità inevitabile.Il filosofo Ricoeur dice però che il male di Auschwitz supera le nostre capacità di sopportazione.
Perché questo male è insopportabile ? Perché in questo caso si tratta di male provocato dall'uomo. Noi sentiamo una voce dentro che ci dice che questo male avrebbe potuto essere evitato.Ecco l'enorme problema della libertà. Se veramente l'uomo è libero, Auschwitz è insopportabile.Il male in sé è ingiusto, sempre. Difficilmente può essere accettato. Tuttavia diventa insopportabile quando viene sentito come evitabile.
Ma Auschwitz poteva essere veramente evitato ? E ciò che noi consideriamo "vita", ovvero quello che è l'ideale di vita a cui il male si oppone (per cui noi inorridiamo), che "vita" è ? E' la vita vera o un nostro desiderio ? Questa vita è certamente anche una nostra volontà. Ma siamo sicuri di "volere" bene, di essere nel giusto "volendo in questo modo” ? Quanto conta, in una considerazione totale dell'essere, questa volontà ?
Di fronte a certi drammi la nostra coscienza può, se non accettare, almeno sopportare questo male, se lo considera frutto di una necessità inevitabile.Il filosofo Ricoeur dice però che il male di Auschwitz supera le nostre capacità di sopportazione.
Perché questo male è insopportabile ? Perché in questo caso si tratta di male provocato dall'uomo. Noi sentiamo una voce dentro che ci dice che questo male avrebbe potuto essere evitato.Ecco l'enorme problema della libertà. Se veramente l'uomo è libero, Auschwitz è insopportabile.Il male in sé è ingiusto, sempre. Difficilmente può essere accettato. Tuttavia diventa insopportabile quando viene sentito come evitabile.
Ma Auschwitz poteva essere veramente evitato ? E ciò che noi consideriamo "vita", ovvero quello che è l'ideale di vita a cui il male si oppone (per cui noi inorridiamo), che "vita" è ? E' la vita vera o un nostro desiderio ? Questa vita è certamente anche una nostra volontà. Ma siamo sicuri di "volere" bene, di essere nel giusto "volendo in questo modo” ? Quanto conta, in una considerazione totale dell'essere, questa volontà ?
giovedì 2 luglio 2009
COS'E' L'AMORE
Da un'intervista a Monica Guerritore, tratta da Panorama del 15-10-1995:
"L'amore è fine a se stesso. La frase che più mi ha colpito, e che più mi corrisponde, è il finale della "Strada di Swann", quando lui dice : "e pensare che ho pianto, sofferto, voluto morire, per una donna che non amavo e che non era il mio tipo". Questo è l'amore. Tra uomo è donna poi c'è un equivoco di fondo: il problema è la mancanza, il lutto per ciò che non si ha. Allora l'uomo cerca la mamma. E la donna ? Cerca il padre ? No, la donna cerca anche lei la mamma. Che dramma."
"L'amore è fine a se stesso. La frase che più mi ha colpito, e che più mi corrisponde, è il finale della "Strada di Swann", quando lui dice : "e pensare che ho pianto, sofferto, voluto morire, per una donna che non amavo e che non era il mio tipo". Questo è l'amore. Tra uomo è donna poi c'è un equivoco di fondo: il problema è la mancanza, il lutto per ciò che non si ha. Allora l'uomo cerca la mamma. E la donna ? Cerca il padre ? No, la donna cerca anche lei la mamma. Che dramma."
mercoledì 1 luglio 2009
LA BESTIA UMANA
L'ipocrita rispetto del prossimo esprime la sua natura ipocrita nello spreco della sostanza delle cose all'indifferente chiacchiericcio sul nulla. Dai suoi vuoti paradisi l'uomo sbilancia il proprio essere verso quella verità che egli vuole negare: quindi egli tasta il terreno come accorto animale, in base alla propria salute e alla propria prestanza, pronto a mostrare muscoli e nervi e livree colorate, stati di salute atti al combattimento e toni di parole come annunci di lotta. Lo nutrono sogni di grandezza, grandi illusioni di valore, la sua speranza è quella di diffondere il germe di un nuovo senso. Addirittura apparentemente gentile, svela la pochezza del suo inganno nell'assoluta noia che coglie gli uomini che ascoltano le sue parole. Nel nulla del suo dire c'è il tutto del suo essere nulla.
venerdì 26 giugno 2009
FORMICHE
Nella soffocante aria del pomeriggio Bob rifletteva sulla vita. Il bene, il male, cosa sono ? E quante formiche... C'erano formiche dappertutto, sul pavimento, sui muri, alcune in fila, altre che vagavano in ordine sparso. Si guardò le mani: cominciavano a screpolarsi, il tempo insidioso le minacciava. Bob era consapevole di non essere più quello di una volta. Ma pensò pure che erano ormai molti anni che aveva smesso di rosicchiarsi le unghie. "Certo" pensò "il tempo ci sottrae la vita, ma ci rende anche migliori". Ma questa verità non lo convinceva completamente, c'era qualcosa di importante da fare, qualcosa che meritava più attenzione. Si alzò e guardò fuori dalla finestra; sentì il bambino dei vicini che parlava animatamente, l'argomento sembrava fossero gli insetti, le formiche. Il piccolo ne aveva scorto il curioso schierarsi in lunghe file e lo mostrava con entusiasmo alla madre. "Lo stesso destino..." pensò Bob, e un leggero sorriso gli incurvò le labbra.
mercoledì 24 giugno 2009
IL LAVORO
"Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, nè mietono, nè ammassano nei granai, eppure il Padre vostro celeste li nutre" (Matteo 6,26)
Osservo gli uomini al lavoro. E' singolare che ci venga richiesto di dedicare ad esso gran parte del nostro tempo. Ciò che rende oltremodo strana la cosa è la sua necessità: orari prestabiliti, gesti ripetitivi. E il tutto al fine di un servizio che si rende al prossimo, come che noi si debba sempre qualcosa agli altri. La Costituzione dice che ognuno deve contribuire al progresso e al benessere della collettività: e allora, da oggi, prometto: non lavorerò, ma sarò buono e avrò sempre una parola gentile per tutti e accoglierò persino di buon grado le offese. Come Socrate, meriterò di essere nutrito nel Pritaneo.
Osservo gli uomini al lavoro. E' singolare che ci venga richiesto di dedicare ad esso gran parte del nostro tempo. Ciò che rende oltremodo strana la cosa è la sua necessità: orari prestabiliti, gesti ripetitivi. E il tutto al fine di un servizio che si rende al prossimo, come che noi si debba sempre qualcosa agli altri. La Costituzione dice che ognuno deve contribuire al progresso e al benessere della collettività: e allora, da oggi, prometto: non lavorerò, ma sarò buono e avrò sempre una parola gentile per tutti e accoglierò persino di buon grado le offese. Come Socrate, meriterò di essere nutrito nel Pritaneo.
lunedì 22 giugno 2009
DIO L'UOMO IL CAOS
L'uomo, in quanto limitato, non può pianificare completamente la realtà, cioè definirne completamente le regole.
L'uomo non può generare una complessità di regole tale da determinare il Caos.
L'uomo non è quindi capace del Caos.
Ma dal Caos nasce il Mondo,
quindi il Caos deve essere generato, deve esistere, altrimenti non potrebbe nascere da esso il Mondo;
ma il Caos può quindi essere generato solo da un Dio, perchè solo un Dio può pianificare completamente la realtà.
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